ARRENDERSI AL MONDO
Fr∴ A∴ T∴
“Il Cammino della Luce”
Montebelli, Aprile 2017
Abbiamo ascoltato ieri tre interessanti relazioni che ci hanno introdotto in altrettanti cammini mistico-esoterici finalizzati alla ricerca della Verità, in quanto mezzo privilegiato per garantire la salvezza dell’individuo. Non è nostra intenzione riassumere in questo lavoro quanto abbiamo udito, né tentare un parallelo o un confronto fra esse, quanto piuttosto sviluppare in modo più generale una riflessione sulle peculiarità proprie delle vie iniziatico-religiose, cercando, ove possibile, di dare conto anche delle assonanze con il percorso massonico. E poiché riteniamo che uno degli elementi fondamentali comune ad ogni cammino iniziatico, di qualsiasi natura, sia l’esercizio della libertà individuale, questo lavoro tratterà fondamentalmente del tema della LIBERTA’.
Ora, se domandassimo quale azione si identifica maggiormente nell’immaginario collettivo con l’idea della libertà, siamo pressoché certi che la risposta sarebbe: quella del viaggiare. Capelli al vento (chi può), e via! Alla scoperta del mondo.
Forse il nostro approccio alla religione non è molto dissimile da quello con cui decidiamo di affrontare un viaggio. C’è chi preferisce affidarsi alle cure e ai consigli dei “tour operator”, i quali, conoscendo il mondo, sono ritenuti i più indicati per guidare gli altri alla scoperta dell’ignoto. E anche se ciò comporta che tutti i viaggiatori finiscono con il ripetere i medesimi tragitti e vedere le stesse cose, che altri hanno scelto in quanto ritenute le più rappresentative e rispondenti alla natura dei luoghi da visitare, ciò in fondo rappresenta un piccolo inconveniente rispetto alla tranquillità ed alla garanzia del risultato finale. Infatti anche il grado di soddisfazione è stabilito a priori: affidati a noi e “vivi una vacanza da sogno”; “scegli la vera avventura”; “ecco il tour romantico che vi farà innamorare”; e così via. Ci aspettiamo a tal punto che tutto corrisponda alle promesse, che pur di evitare per esempio ai viaggiatori in visita nel nostro Paese la delusione di scoprire che in fondo noi Italiani non siamo soliti suonare il mandolino tra una spaghettata e l’altra, i tour operator, arrivano ad assoldare abili suonatori, così da mantenere quanto la tradizione richiede, onde evitare che a qualcuno possa venire il dubbio che il mondo, dopotutto, non sia propriamente quello illustrato nei dépliant e nelle brochure turistiche.
Tuttavia, e fortunatamente, a volte il dubbio nasce. Se anche l’approccio iniziale può essere quello di un tour guidato, nel corso del viaggio può sorgere in alcuni l’esigenza di guardare oltre gli itinerari programmati, al di là degli stereotipi consolidati e dei suonatori di mandolino a gettone. Può venir loro voglia di vedere il mondo con i propri occhi, percorrerlo con le proprie gambe, inconsapevoli di dove il cammino li condurrà, delle gioie e dei dolori che il viaggio potrebbe riservargli, ma con un grande desiderio: conoscere! Conoscere i Paesi e le genti oltre le vetrine che altri hanno allestito.
Mi azzardo ad affermare che le rivelazioni di cui le grandi religioni istituzionali si dicono depositarie e interpreti, somigliano molto ai pacchetti viaggio tutto compreso. Secoli di interpretazioni e di esegesi hanno finito con lo scegliere, confezionare, cristallizzare in tappe e percorsi prestabiliti il cammino spirituale degli individui, hanno imbrigliato il loro anelito verso il divino entro schemi preordinati, hanno in qualche modo omologato il senso del mistero che l’esistenza suscita negli individui, dandone loro una ragione ed una giustificazione ben definite. “Segui il programma e troverai quanto promesso”. In tali contesti la rivelazione è in sé un quadro completo e definitivo, non suscettibile di modifiche, interpretazioni o adattamenti, almeno nelle sue parti essenziali, e di fronte alle istanze di popolazioni che evolvono nei propri costumi, nell’etica e nella morale, di fronte agli interrogativi che il progresso scientifico e tecnologico sollevano, le religioni del Libro oppongono la propria monolitica staticità, perché è impensabile che debba essere la Legge a modificarsi per adattarsi al nuovo, ma piuttosto devono essere gli uomini a ricondursi ad essa. Le rare aperture che è dato riscontrare, fanno sempre leva sull’aspetto sociale e sulla necessità di mantenere un contatto con quella parte della popolazione che, a volte anche suo malgrado, tende a prendere le distanze da una espressione religiosa che non avverte più come rispondente alle proprie istanze spirituali. Sono aperture in cui la misericordia e l’attenzione ai bisogni dell’umanità fanno premio sulla dottrina, attuate senza che alla base vi sia una reale revisione dei canoni. Eppure, ciononostante, vi è sempre un’ortodossia che tende ad osteggiare anche queste timide concessioni, perché comunque considerate devianti rispetto alla lettera della rivelazione.
Per quelle che invece abbiamo definito vie mistiche o religioni esoteriche, la rivelazione, così come tramandata, rappresenta solo un punto di partenza, un momento di contatto fra umano e divino che non volle sancire allora e per sempre un rapporto di sudditanza, una distanza insuperabile fra la creatura e il creatore, quanto piuttosto un invito a colmare quella distanza, a percorrere un cammino che attraverso la conoscenza di quanto rivelato, possa ricondurre a Dio. Non regole da seguire o obblighi da ottemperare, ma libero esercizio della volontà di indagare personalmente e per via diretta il mistero divino, di riviverlo, interiorizzarlo e farlo proprio, affinché si possa diventare un tutt’uno con esso. Nella prospettiva indicata la salvezza non passa dal rispetto della Legge, ma dalla conoscenza della logica che l’ha stabilita, non dalla cieca obbedienza, ma dalla condivisione della medesima natura dalla quale la Legge promana; in una parola, dall’identificazione stessa fra uomo e Dio. Questo approccio non si pone in contrasto con l’evoluzione dei costumi o della morale, con il progresso tecnico o con le scoperte della scienza, che concorrono al cambiamento dei valori., perché questi non sono un ostacolo alla conoscenza di Dio, né rappresentano necessariamente la negazione della sua volontà.
Le religioni istituzionalizzate appaiono essere legate ad una visione statica e storicizzata del Divino, essendo vincolate ad una particolare manifestazione temporale dello stesso che ne segna anche il limite di comprensione. Intendo dire che dal fulmine che incendia l’albero agli dei che governano i cicli vitali della natura, dal Dio di Mosè alla predicazione del Cristo, dal Sigillo dei Profeti al libro di Mormon, le rivelazioni del divino di ogni tempo e luogo non possono che essere state limitate al grado di comprensione di cui disponeva l’umanità a quel momento. In ciò debbono essere necessariamente considerate tutte vere, perché rispondenti alla reale cognizione del divino posseduto da quanti le hanno ricevute. Ma ciascuna di esse non è stata e non è che una manifestazione parziale della Verità, e come tale destinata ad essere superata dalla maggiore capacità di penetrare il Mistero Ineffabile che l’umanità nel suo cammino evolutivo ha acquisito e va tuttora acquisendo. Così anche le attuali religioni che si sono fatte custodi e guardiane dell’ortodossia, che ritengono di essere in possesso della parola completa e definitiva, dovranno conoscere il superamento dei dogmi su cui si fondano, perché il non farlo significherebbe interrompere il percorso verso la Verità.
Dio si è rivelato e si rivela per quanto siamo capaci di comprenderlo, e la nostra capacità di poterlo fare non ne modifica l’essenza, la sostanza, ma ci consente progressivamente di abbandonarne gli aspetti esteriori, connessi alla vita materiale, per renderla vieppiù legata ontologicamente alla nostra stessa essenza, al nostro essere, al nostro sentire interiore.
Questo è quanto si prefiggono le vie religiose esoteriche: risalire alla conoscenza diretta e non intermediata della Verità, oltre le contingenze e le manifestazioni fenomenologiche che caratterizzano la nostra esistenza sul piano della materia, alla ricerca del Principio che dette origine al tutto e che ne informa la sostanza. Esse attingono alle rivelazioni non letteralmente ma riconoscendone l’insegnamento simbolico, trasformando l’anelito religioso da cieca obbedienza e da statica e definitiva accettazione di ciò che è dato, in un processo dinamico, in un cammino, un percorso di ricerca che ci fa sentire Dio e la sua Parola come parte di noi e noi parte di Lui, che considera la Creazione non come un evento definitivo, e per ciò stesso concluso, ma come una costruzione continua della quale gli individui rappresentano contemporaneamente l’oggetto ed il soggetto, gli strumenti e l’opera, il principio ed il fine, il mezzo e lo scopo: un processo di identificazione che conduce anche noi Massoni a dichiarare: noi siamo il G.A.D.U.
Siamo di fronte a due visioni contrapposte del rapporto dell’uomo con il divino, che sottintendono due diverse modalità di vivere la realtà: l’una fondamentalmente basata su un vincolo di necessità, per cui l’uomo è oggetto passivo del divenire, che non può far altro che accettare quanto gli è dato; l’altra ispirata ad una visione di libertà, per cui l’uomo è soggetto attivo che può indirizzare la propria volontà alla ricerca della propria dimensione spirituale.
La possibilità di intraprendere percorsi esoterici di conoscenza passa quindi dall’esercizio della libertà individuale. Cominciamo dunque anche noi un viaggio attraverso questa duplice lettura della realtà, affinché si possa argomentare il senso di una tale affermazione.
Pensando all’esistenza ed all’agire degli individuai nel piano della materia, è realmente possibile parlare di libertà? In quali termini questa può essere definita e può essere esercitata?
In filosofia si è molto discusso al riguardo: c’è chi nega l’effettivo esercizio della libertà individuale, come Spinoza, e chi invece considera la libertà come una condizione connaturata alla natura umana, come Cartesio. Chi nega la possibilità di un reale esercizio della libertà fa in primo luogo riferimento alla dipendenza della vita stessa dalle leggi di natura, dalle esigenze che la nostra fisicità manifesta. Siamo legati al nostro corpo e l’istinto ci impone la soddisfazione delle sue esigenze. Ma l’uomo ha saputo anche affrancarsi dai capricci della natura, e fatto sì che i bisogni primari legati alla pura sussistenza non rappresentino più (almeno per molti) la sola determinante delle proprie azioni. Può allora effettivamente dedicarsi alla soddisfazione dei desideri, a coltivare le passioni ed esprimere tutta la creatività di cui è capace, e seguendo l’estro della propria volontà, indirizzarla verso ciò che più gli procura gioia e piacere. Si può ciò configurare come un effettivo esercizio della libertà? Schopenhauer soleva dire: “l’uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole”, perché l’oggetto del suo desiderio non nasce da una libera determinazione della volontà, ma è piuttosto questa ad essere determinata dal desiderio stesso, del quale si diviene dipendenti. Tuttavia, anche gli stimoli che ci condizionano possono essere controllati e financo estromessi dalla nostra vita.
Siamo dunque liberi nelle nostre determinazioni, o siamo vincolati, necessitati dalla nostra stessa natura?
Ampliando lo sguardo all’intero creato, la questione si può porre come segue: il mondo come lo conosciamo è la risultante di ferree leggi che ne hanno determinato lo sviluppo passato e ne determinano quello futuro, senza possibilità per alcuno di interferire con esse; oppure il mondo è la risultante delle libere interazioni dei suoi componenti, che ne hanno determinato uno dei possibili sviluppi senza con ciò condizionarne anche quelli futuri?
E qui è la scienza che ci soccorre: per Einstein l’universo si muove secondo una precisa necessità fisica: “Dio non gioca a dadi col il mondo”, soleva dire. Per i fisici quantistici l’universo è privo di una struttura deterministica, ma risponde piuttosto a principi probabilistici che trovano concretezza solo in relazione ai singoli osservatori. “Non vedo perché debba essere Einstein a dire a Dio con cosa giocare”, affermava di rimando Niels Bhor. Finanche la struttura stessa della materia, quanto di più reale ci sia dato constatare, sembra soffrire di quella dualità, di quelle contraddizioni, di quelle antinomie che affliggono la sfera dell’azione umana.
In campo sociale e politico la libertà è la condizione considerata necessaria per poter garantire l’espressione delle personalità individuali, con l’obiettivo dichiarato di assicurare ai cittadini il perseguimento del proprio benessere fisico, economico e morale. Come poterlo garantire? Dando la priorità sempre e comunque agli interessi dei singoli, oppure a quelli della collettività nel suo complesso? A seconda delle epoche, dei luoghi, delle circostanze, l’ideale di libertà politica e sociale ha conosciuto varie applicazioni, impostesi a volte come conquista, a volte come compromesso o contrattazione, a volte come concessione, in cui è prevalsa ora l’una, ora l’altra delle impostazioni. In linea di massima, sono sempre i gruppi sociali più organizzati e influenti che finiscono con il far prevalere il loro punto di vista, avendo come obiettivo primario più la salvaguardia dei propri interessi che non la realizzazione di un modello ideale di libertà. Anche da questa prospettiva, dunque, la libertà, lontana dall’essere un riferimento univoco, appare piuttosto un concetto elastico, sempre rivedibile, in nome del quale si sono compiute anche delle vere e proprie atrocità ai danni delle categorie sociali più deboli.
Per le religioni istituzionali abbiamo già visto come la Legge e l’esegesi che ne è stata tratta, rappresenti la guida ed insieme il limite entro il quale deve si deve esplicare ogni azione umana.
In tale senso vale la pena accennare al fatto che le religioni abramitiche, basate sulla onniscienza e onnipotenza di Dio, che in sé è solo bene e perfezione, non può che attribuire all’uomo ogni forma di male e di imperfezione presenti nel mondo, non potendo questi in alcun modo discendere da Dio. Al di là di trovare allora una ragione al dolore ed al male prodotto dalla natura, quali cataclismi o malattie, anche solo soffermandoci sulla facoltà, ovvero libertà, che ha l’uomo di scegliere se operare il bene o se optare per il male, occorrerebbe distinguere fra il male fatto per ignoranza, per il quale non si dovrebbe parlare di colpa volontaria, e quello fatto con intenzionalità. Ma perché l’uomo, creatura prediletta di Dio fatta a sua immagine e somiglianza, dovrebbe desiderare il male?
Di fronte a tali problematiche, le posizioni assunte a spiegazione sono sostanzialmente tre: l’atteggiamento nichilista di chi, di fronte alle contraddizioni della vita, alle sue tragedie, ai soprusi dei più forti sui deboli, rifiuta il concetto stesso di Dio, perché in un mondo siffatto non vi è modo di rintracciarne l’azione. Vi è poi l’atteggiamento fatalista di chi all’opposto scorge in ogni cosa l’azione di Dio, il cui disegno è talmente imperscrutabile da rendere vano chiedersi il perché delle tragedie o delle gioie della vita: occorre accettarle e basta e rimettersi nelle Sue mani.
Infine l’atteggiamento razionalista, in base al quale si tende a spiegare il dolore che pervade la vita come conseguenza del cattivo comportamento dell’uomo nel caso di male volontario, ovvero come preparazione ad un bene superiore nel caso del male incolpevole (dolore finalizzato alla salvezza).
Volendo comunque in ultima analisi prescindere dagli atteggiamenti intellettuali assunti a giustificazione della teodicea, ovvero al problema della presenza del male nella creazione, resta da sciogliere il nodo legato al modo in cui l’uomo possa poi comunque riscattarsi di fronte a Dio. Al di là delle peculiarità delle singole religioni, vi è una contraddizione di fondo che le riguarda tutte, ovvero la prevalenza assegnata ora all’azione della grazia divina, per cui il perdono e la salvezza sono una esclusiva concessione divina, ora all’azione delle opere umane di misericordia, dipendenti invece dalla volontà di riscatto dell’individuo. Da cosa origina la salvezza? Da una necessità divina, ovvero dall’azione della Grazia, oppure da un esercizio di libertà umana, ovvero dalla consistenza delle opere?
Sempre e solo contraddizioni, antinomie, visioni alternative, contrapposizioni. Ma è proprio questo che caratterizza il mondo exoterico o, per usare un termine a noi più noto, il mondo della profanità. E profanamente parlando, non vedo argomenti che possano condurre a preferire una tesi piuttosto che un’altra: da questa prospettiva possono ritenersi tutte vere, ed il prevalere dell’una o dell’altra è una questione di fede, di pensiero, di convinzione scientifica, di cultura, non potendosi ravvisare un meta-criterio alla base del quale rapportare ed effettuare scelte univoche. Tesi e antitesi si equivalgono. In ultima analisi scegliere fra opposte visioni è una questione di opportunità o convenienza, perché è questo che in definitiva muove l’individuo nel contesto profano: il perseguimento di un interesse, di qualunque natura esso sia e a qualunque finalità sia esso destinato. In funzione di tale meta gli individui sono naturalmente portati a volersi liberare delle tante contraddizioni che investono la sfera della loro azione, operando sempre e comunque una scelta, da difendere poi da tutti e contro tutti coloro che operano scelte diverse. È in tal senso che l’individuo esercita ed esprimere la propria libertà: seguendo gli impulsi del proprio ego, dei propri sentimenti, delle convinzioni che gli derivano dalla propria storia personale e che lo spingono a scegliere una tra le possibilità date, confinandolo entro una visione parziale della realtà.
La prospettiva esoterico-iniziatica non disconosce l’esistenza di antinomie e contraddizioni, ma anziché considerarle alternative inconciliabili, entro le quali la scelta e la volontà di far prevalere una visione sulle altre è ritenuta la massima espressione della libertà, le ritiene un unico substrato inscindibile e indivisibile, un unicum che occorre accettare nella sua totalità perché è nell’interezza della manifestazione che si può cogliere il senso della vita e a partire dal quale intraprendere un diverso cammino di libertà.
Partire dall’accettazione della logica del mondo, significa non rinunciare a nessuno dei suoi aspetti, a volerli considerare tutti imprescindibili per risalire all’origine dalla quale sono emersi. Significa riconoscere che il mondo nasce con insite le contraddizioni, e che tutte concorrono all’unità del creato ed alla Verità dello stesso. Si è detto che nel contesto profano la libertà consiste nel poter scegliere fra gli opposti e fare della scelta fatta la propria verità. Noi invece riteniamo che la libertà consista nel mantenerle in relazione fra loro e non nel dover scegliere, perché come diceva Raimond Panikkar, un grande esploratore della spiritualità, “in ogni scelta vi è una rinuncia”, una resa a priori a voler comprendere la Verità nella sua interezza.
Arrendersi al mondo: questa è la condizione da fare propria per aderire appieno ad una via mistico-iniziatica di conoscenza. Arrendersi al mondo, che non significa rinuncia o abbandono della ricerca della Verità, ma al contrario che per rendere consistente tale ricerca occorre cessare di combattere il mondo, di considerarci il centro del creato, di imporre il proprio ego, di inseguire la soddisfazione dei propri desideri, per porsi al servizio di un ideale superiore che trascende il nostro Io. Rinnegare la personalità profana per ritrovare la personalità divina, diventare sordi ai rumori del mondo per sintonizzare il proprio essere al richiamo dell’Origine, del Principio che ci informa e che ci richiama al suo cospetto. In ciò consiste la massima espressione di libertà: non sentirsi legati al mondo per volgere l’intero nostro sentire alla conoscenza di Dio. La Libertà è nel percorso di conoscenza che porta alla Verità, nel processo di adesione dell’uomo alla fonte stessa della Verità. In tal senso la libertà non incontra limiti, perché non si esercita in orizzontale, in competizione con gli altri, ma si sviluppa in verticale, verso la dimensione illimitata della spiritualità.
Questo è il contesto entro il quale operano le vie esoterico-religiose oggetto dell’incontro di ieri. Ma esso rappresenta anche il substrato entro il quale avviene il percorso ascensionale della massoneria Scozzese, che infatti prevede nell’ultimo dei suoi gradi simbolici il conseguimento della Gnosi quale sublime traguardo. Naturalmente la massoneria non si pone un puro obiettivo soteriologico come fanno le religioni, ma richiede che la palingenesi dell’adepto sia volta a beneficio dell’umanità. La scala, una volta salita, deve essere ridiscesa.
Vorrei porre l’accento su quanto piano exoterico e piano esoterico rappresentino due contesti nettamente separati, con finalità e metodologie diverse: non è quindi possibile affrontare le problematiche e le contraddizioni della vita con la stessa struttura mentale, con lo stesso substrato culturale di riferimento, con le stesse convinzioni: o si adotta una prospettiva profana, o si adotta una prospettiva iniziatica. Per tale ragione non dovremmo introdurre nel Tempio durante i nostri lavori chiavi di lettura della realtà che appartengono al mondo profano. La nostra modalità di leggere il mondo deve essere necessariamente diversa.
La libertà sorgente da un percorso iniziatico non è dunque il semplice affrancarsi dalle necessità di natura, legate alla nostra fisicità, o il potere di seguire i propri desideri, legati al nostro animo ed alla personalità. Essa deriva da una fonte diversa, ovvero dalla coscienza individuale. La Coscienza è il substrato dal quale attingere forza e ispirazione, è la guida in grado di indirizzare la volontà, è la cassa di risonanza entro la quale si avverte l’eco del “Fiat Lux”, è lo specchio nel quale si riflette la nostra scintilla divina. La coscienza individuale è il riverbero sul piano della materia della pienezza del Pleroma, e come tale si pone quale diretta emanazione, senza ulteriore intermediazione, con l’Origine del manifesto. Ma la sua voce è presto sepolta dalla prevaricazione dell’ego e dalla personalità che il contesto sociale e culturale di appartenenza contribuiscono a costruire, sì che troppo spesso resta inascoltata. Eppure proprio la coscienza è quanto ci rende tutti Fratelli, perché una volta depurata dalle sovrastrutture della profanità, dal condizionamento dei pregiudizi, essa attinge al comune Principio emanativo dell’essere e ci fa vedere il mondo con occhi nuovi.
Questo è il senso del silenzio dell’apprendista: fare il vuoto nella mente, far tacere il pensiero, e ricreare in sé le condizioni per risalire alla fonte della coscienza. Questo è il senso di sovrapporre gli strumenti del lavoro massonico, la squadra ed il compasso, sopra la luce dell’officina, ovvero sopra il libro sacro, simbolo del G.A.D.U. e vera fonte della coscienza, affinché informi i nostri lavori.
Chiunque osservi con gli occhi della coscienza, vedrà nell’altro il riflesso di se stesso, e ciò che vedrà sarà la pienezza divina che informa tutte le coscienze consapevoli. Il divino è entro noi stessi, non è al di fuori di noi, non è altro da noi, ma ci pervade, ci completa, ci contraddistingue. Noi possiamo Conoscere Dio, è questo il messaggio delle religioni esoteriche. Non la fede, non le opere, ma la Conoscenza, quale via privilegiata per la propria salvezza. Da ciò il rapporto ontologico, noetico, diretto, personale ed intimo con il Divino, che conduce alla nostra identificazione in Lui, “affinché non ci sia più niente di noi che non sia in Lui e niente di Lui che non sia in noi”, come recita una preghiera gnostica. Si comprende allora come in tale prospettiva non vi sia spazio per un Dio personificato che osserva dall’esterno l’opera degli uomini, un Dio giudice che punisce e premia, che esaudisce o meno le preghiere e le suppliche, che concede o meno la propria Grazia e la salvezza in funzione di un recondito disegno che non ci è dato comprendere. In un ribaltamento totale di prospettiva rispetto alle religioni istituzionalizzate, Dio è indifferenza, perché non è Egli a curarsi degli individui, ma gli individui che si curano di Lui, che ne debbono riproporre tramite se stessi e in se stessi la logica e l’essenza. Non credo vi può essere espressione di libertà superiore a questa: la libertà di scoprirsi divini: io sono il G.A.D.U.
Chi pensa che ciò si estrinsechi nella facoltà di compiere prodigi e miracoli, di dare libero sfogo ai tutti i capricci gli passino per la mente non ha ben compreso quanto abbiamo cercato di esporre: un percorso esoterico-iniziatico richiede di abbandonare la visione proprie della profanità, richiede di spogliarsi di tutte le tensioni che agitano l’Io e la mente, di rinnegare gli elementi della personalità e dell’ego, per porre la coscienza nello stato di originale sintonia con il principio creatore e ordinatore dell’universo, al fine di identificarsi con la logica che lo governa e sostiene. Svincolati dalle passioni del mondo, saremo liberi di esplorarne la complessità, di indagare il mistero che ne è all’origine in un processo volto non solo alla pura Conoscenza, ma alla riproposizione della Verità che lo informa. In ciò si estrinseca l’identificazione con il divino, nella capacità non solo di comprendere, ma anche di riproporre la Verità al di là del vero che caratterizza la profanità.
Abbiamo detto che il percorso massonico scozzese richiede che la Gnosi conseguita dall’adepto possa riversarsi a beneficio dell’umanità. Come possiamo rendere possibile ciò? Io credo che il modo migliore possa essere questo: non vivere nel tempo, nella società, nella famiglia, nel lavoro, ma piuttosto vivere il tempo, la società, la famiglia, il lavoro. Nel senso che non dovremmo limitarci a operare entro i contesti a noi abituali, alla stregua di comparse, ma ad operare su di essi, agire per promuovere relazioni che vadano in direzione della Verità come la stiamo imparando a conoscere, non per avere di più, non pensando a noi stessi, al nostro interesse personale, ma piuttosto pensando noi stessi, realizzando anche in tali contesti profani la nostra identificazione con una dimensione superiore che informa la nostra diversa capacità di valutazione ed azione.
Anche in tale ottica, si comprende come la scelta di percorrere ed attuate un percorso iniziatico richieda una grande forza di volontà e la capacità di ripensare totalmente il proprio rapporto con la Verità. Sono sufficienti queste ragioni per dare conto della scarsità di individui che decidono di percorrerla? E che dire della grande ostilità che generalmente circonda ogni aggregazione che si riconosce in uno di tali cammini? Forse una delle analisi più acute al riguardo la possiamo trovare in una delle più belle pagine della letteratura mondiale: “La leggenda del grande inquisitore”, tratto da “I Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.
Siamo nella Spagna del 1500, quando la Santa Inquisizione vigilava sul mantenimento dell’ortodossia non esitando a mandare sul rogo chiunque fosse sospettato di eresia. In questo clima di angoscia e sospetto, Cristo fa ritorno sulla terra e viene riconosciuto ed osannato dalla folla, ma il cardinale grande inquisitore lo fa immediatamente arrestare e condurre nelle segrete dell’inquisizione, dove egli stesso si reca nella notte per interrogare il prigioniero.
L’inquisitore “è un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso scarno, dagli occhi infossati, ma nei quali, come una scintilla di fuoco, splende ancora una luce”. Egli chiede al Cristo perché è ritornato, perché vuole ancora gettare scompiglio nel popolo con il suo messaggio di libertà. Evidentemente non ha compreso che il popolo è mosso da un solo interrogativo: “dinnanzi a chi inchinarsi?”, e che questo rappresenta il “massimo segreto di questo mondo”. Il cardinale rimprovera al prigioniero di non averlo capito e di aver agito esattamente al contrario: “Invece di impossessarti della libertà umana, l’hai moltiplicata, aggravando in eterno con i tormenti della libertà il regno spirituale dell’uomo”; ma “Nulla mai è stato per l’uomo e per la società più intollerabile della libertà”. Gli uomini, continua il grande inquisitore, non vedono l’ora di disfarsi della libertà in cambio di un potere forte che garantisca loro quella felicità che solo i beni materiali possono garantire. E a Cristo era stato proposto di guidare gli uomini con quegli stessi mezzi, quando nel deserto fu avvicinato e tentato da Satana, ma Egli volle resistergli, e rifiutò le sue offerte di potere. L’inquisitore e i suoi non avevano commesso lo stesso errore, e ormai da tempo avevano invece optato per guidare gli uomini dando loro la felicità in cambio dell’obbedienza: “Allora senti: noi non siamo con te” – dice rivolto a Cristo – “ma con lui, ecco il nostro segreto! Da un pezzo non siamo più con te ma con lui: da ormai otto secoli”. L’inquisitore conclude comunicando al prigioniero che non lo teme, e che l’indomani, a riprova delle sue parole, vedrà come il docile gregge del popolo, al suo primo cenno, “si precipiterà ad attizzare i carboni ardenti del tuo rogo, sul quale ti farò bruciare perché sei venuto a disturbarci”. Cisto non risponde, ma si limita a baciare sulle “labbra esangui” il grande inquisitore. Il vecchio sussulta, ha un fremito. Si reca poi alla porta e dice rivolto a Cristo “Vattene, e non venire più… non venire mai più”.
Sicuramente un quadro inquietante quello che ci presenta Dostoevskij, il quale non deve essere confinato al solo ambito della religione cattolica rappresentata dal grande inquisitore. Penso che la critica da egli mossa possa e debba essere estesa ad ogni forma di ideologia organizzata, sia essa di tipo religioso, che di tipo politico-sociale. Infatti è tipico di ogni ideologia dichiarare non soltanto che il proprio obiettivo è quello di rendere felici gli uomini, ma altresì ritenere che il proprio modo di leggere il dato della vita e il conseguente indirizzo che ne ricava, sia il migliore e il più idoneo a conseguire tale obiettivo. Ma secondo il nostro autore, ciò che le ideologie fanno realmente è sostituirsi implicitamente all’ordine cosmico stabilito da Dio, per lasciarsi sedurre dalle forze demoniache che si impongono mascherandosi sotto nobili e altruistiche intenzioni.
Le ideologie decidono per gli uomini, e vogliono imporsi sugli uomini. E ci riescono, perché gli uomini, più che dalla verità e dalla libertà, sono attratti dalle promesse di stabilità e benessere, dal luccichio degli idoli che il demiurgo di turno fa loro baluginare davanti agli occhi: gli uomini amano seguire chi promette loro gioie e piaceri. Dostoevskij ci consegna l’immagine di un’umanità non solo incapace di riconoscere il vero bene, ma pronta anche a rinnegarlo pur di non doversi accollare la fatica e l’onere di esercitare la libertà di scegliere.
Non è questo invece che fa il Cristo del racconto. Egli con il proprio silenzio testimonia ancora una volta il suo messaggio di libertà: Egli è portatore di un esempio, Egli non desidera imporre se stesso e la sua legge, ma ha lasciato gli uomini liberi di seguirlo, perché solo nella libertà si può trovare la Verità. Colui che non impone se stesso, che non deve convincere, che non deve assoggettare gli altri al suo volere, ama e accetta il mondo per quello che è: si arrende al mondo, per farne la base della propria rinascita attraverso la scoperta del valore della libertà.
Questo è il messaggio del quale ogni via iniziatica si fa portatrice.
Vi è un passo sul finire del capitolo, in cui la voce narrante, quella di Ivan Karamazov, constata amaramente come l’inganno verso il popolo sia compiuto proprio nel nome di Colui che viene tradito, ma che tutto ciò deve rimanere segreto, proprio per salvaguardare gli uomini sventurati ed imbelli, allo scopo di renderli felici. Dopodiché aggiunge: “Io immagino che perfino i massoni abbiano fra i loro principi, qualcosa di analogo a questo mistero e che i cattolici odiano tanto i massoni perché vedono in essi dei concorrenti, che spezzano l’unità dell’idea, mentre unico deve essere il gregge e unico il pastore”. Questa visione della massoneria evidentemente nasceva in Dostoevskij perché convinto che essa agisse come uno strumento di potere volto a piegare le masse alla propria volontà, con ciò ponendosi in concorrenza con le altre istituzioni che perseguivano obiettivi analoghi.
E’ il rischio che di fronte alla profanità tutte le associazioni iniziatiche corrono. Poiché agiscono riservatamente, si suppone che perseguano finalità non dichiarabili di gestione del potere. Questa è anche la logica conseguenza cui si va incontro qualora si ravvedesse in effetti nella Massoneria una istituzione che possa agire direttamente nel mondo in quanto tale, e non attraverso il perfezionamento dei propri adepti che poi riverberano il loro nuovo stato d’animo nella società.
Ogni viaggio conosce la sua conclusione, ma anche dopo aver fatto ritorno a casa continuerà a manifestare i suoi effetti, rivivendo nei racconti, agendo sui ricordi e sulle sensazioni, e poco alla volta realtà e immaginazione si mescolano, a formare un resoconto ideale di ciò che è stato. In fondo, nella nostra mente, un viaggio non ha mai fine. Vale anche per la nostra vita? È un viaggio che non avrà mai fine oppure è destinato a terminare con la morte?
Le religioni istituzionalizzate pongono una netta divisione fra la vita e la morte, fra un prima e un dopo. La loro soteriologia, come abbiamo visto, si può basare sulla prevalenza della grazia o su quella delle opere, ma in ogni caso quanto si realizza o si compie o si riceve nella vita terrena ha un senso in funzione dell’aldilà.
Tuttavia anche in riferimento alla morte esistono visioni contrastanti nell’ambito delle sacre scritture: in alcuni libri della Bibbia essa è considerata come voluta da Dio e prevista nell’ambito della creazione, e questo è anche l’indirizzo prevalente nell’Ebraismo; in altri la morte è conseguenza del peccato dell’uomo, quindi non voluta da Dio, e questa è la concezione del Cristianesimo. Voluta o non voluta da Dio, amica o nemica, la morte segna in ogni caso uno spartiacque da superare, un momento di giudizio il cui esito positivo o negativo dipenderà da quanto in vita si abbia ottemperato al magistero delle religioni.
Nel contesto iniziatico la morte non è considerata la conseguenza del peccato dell’uomo. Essa è parte integrante della logica del creato, presente da molto prima che l’uomo facesse la sua comparsa. Accettare questo dato significa ancora una volta “arrendersi al mondo”, e farne la base per la più ampia espressione di libertà: quella per cui non si è più legati a nulla, né alla vita, né alla morte, perché si è ugualmente manifesti nell’una e nell’altra.
Cosa è vita e cosa è morte dipende da noi, dal senso che gli attribuiamo, e allora potremmo pensare alla morte non come a una divisorio, ad una separazione, ma bensì ad una continuazione in forma diversa, perché una volta presa consapevolezza di quella parte di noi che abbiamo definito Sé o coscienza o spirito, attraverso la quale ci si è posti in risonanza con la fonte del Divino, allora questa parte di noi vivrà in un eterno presente, senza più un prima e senza più un dopo.
La vita non è affermazione così come la morte non è negazione. Di nuovo la verità non è in una soltanto delle due proposizioni contrapposte. La verità si costruisce come relazione, come rapporto fra i due opposti, non consiste nell’accettare l’uno escludendo l’altro. In quanto relazione, la verità non è un dato aprioristico, a noi esterno, ma viene costruito vivendo tutti gli aspetti ad essa connessa, è la risultante del nostro lavoro di ricerca, è elaborata al nostro interno, e vive e cresce dentro di noi. Non c’è vita da una parte e morte dell’altra: c’è un unico processo integrale, la cui espressione compiuta non può consistere nella finitezza della carne, ma nella completezza dello spirito e nell’unità del Pleroma, che tutto contiene.
Al momento della morte si comprende ciò che si è: per non esserlo più, nel caso di chi crede che con essa tutto finisca; per cominciare ad esserlo, nel caso di chi crede che con essa tutto cominci.
EPILOGO
La vita è un succedersi di gioie e dolori, speranze e delusioni, e nella sua evoluzione ci conduce al momento della fatidica domanda: alla fine cosa resta? Veniamo ingannati dalla vita, o piuttosto siamo noi ad ingannarla, perché non la vogliamo comprendere, capire, interpretare nel modo giusto?
Quanto abbiamo raccontato sull’escatologia delle vie iniziatiche rappresenta una dimensione reale o piuttosto una delle tante elaborazioni mentali dell’uomo per dare conto dell’insondabile mistero dell’essere ed evadere dall’amara realtà della vita?
A ciascuno di noi, Fratelli, l’onere e la libertà di dare una risposta.
Da parte mia, concludo con un’ultima considerazione.
Abbiamo preso in esame e messo in risalto la contrapposizione riscontrabile fra mondo profano da una parte, ove prevale lo stato di necessità e una forma relativa di libertà, e mondo esoterico-iniziatico dall’altra, caratterizzato da una forma di libertà che trascende i legami terreni per dedicarsi alla conoscenza della propria identità divina.
Ma tale contrapposizione è essa stessa artificiosa e dettata da necessità espositive, dalla difficoltà della mente ad enunciare in modo unitario ciò che appare frammentario, perché anche un iniziato (ed in special modo un massone) non può e non deve isolarsi dal mondo, non può creare una netta distinzione nella sua vita tra i due contesti. Vi è piuttosto una continua commistione fra l’uno e l’altro: per quanto ci possiamo sforzare di aderire completamente alla visione iniziatica, nessuno può rinnegare le esigenze del corpo e della personalità: il nostro può essere più propriamente definito come un tendere alla perfezione iniziatica, come una tensione continua verso la Luce, della quale possiamo catturare dei bagliori, avere una sensazione, viverne degli istanti. Ma solo per pochi eletti si potrà ravvisare il compimento di quell’identificazione uomo-divino di cui abbiamo dato conto, eletti da noi celebrati come quei maestri di ogni epoca e confessione che hanno conseguito il Real Segreto.
Potremmo allora dire che nel nostro cammino andiamo tessendo la trama della libertà entro l’ordito della necessità. Il tessuto che ne risulterà sarà tanto più caratterizzato dall’una o dall’altra, quanto più l’iniziato sarà stato capace di dare consistenza alla propria trama, piuttosto che subire l’ordito della profanità.
Forse le parole che Pico della Mirandola, uno dei principali fautori della rinascita del pensiero esoterico nella nostra cultura, fa pronunciare a Dio per definire la natura umana, possono ancora oggi farci da guida:
“… Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine…”
Fr∴ A∴ T∴