OLTRE BABELE
Fr∴ E∴ C∴
“Il Cammino della Luce”
Montebelli, Aprile 2018
“In principio era il Logos, e il Logos era presso Dio, e il Logos era Dio… Tutto è venuto ad essere per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è venuto ad essere di ciò che esiste”.
Il Prologo del Vangelo di Giovanni, uno dei Libri Sacri della L.˙. M.˙., da un lato identifica Gesù nel Logos divino, mentre dall’altro ne testimonia l’umanità.
Tutto quello che Gesù dice e fa è parola di Colui che è la Parola eterna, è segno che rimanda all’Incarnazione della Parola nel Cristo fatto Uomo.
Non a caso, in ebraico la parola “dabar” indica allo stesso tempo “parola” e “atto”, “evento”: è la parola che si realizza e diviene realtà. Così come “Dio disse: Sia la luce! E la luce fu”: la parola divina esprime l’opera del Creatore, è quindi parola creatrice, parola che diviene atto nel momento stesso in cui è proferita.
Il concetto di Parola o Suono generatore, capace di creare dal nulla, si ritrova anche in altre culture: ad esempio la parola “Abracadabra” proviene dall’aramaico “Avrah Kadabra” che significa “creerò quel che dico”, “creerò parlando”.
Nella religione Induista, che deriva dal Brahmanesimo e dai testi sacri dei Veda, scopriamo la sillaba, o per meglio dire il suono “Om”, che è il mantra più sacro e rappresenta la sintesi e l’essenza di ogni mantra, rituale, testo sacro o aspetto del Divino.
L’Om è considerato il suono primordiale che ha dato origine alla creazione, una creazione che viene interpretata come manifestazione stessa di questo suono. Da Oṃ procede la conoscenza sacra, la triplice conoscenza: Oṃ è il Brahman, Oṃ è tutto l’universo.
Pitagora affermava che “Dio Geometrizza” e che “la Geometria delle forme è musica solidificata”, come se il suono potesse generare forme soniche e strutturare la materia: come se la materia fosse forma sonica solidificata.
Il Logos quindi è la parola creatrice, che si fa carne nel Cristo; ma ancora prima nella cosmogonia ebraico-cristiana, tramandata nel Libro della Genesi, il Logos si incarna nel risultato finale della Creazione: l’Uomo.
La Creazione di Adamo ed Eva “ad immagine e somiglianza di Dio”, il soggiorno nel Paradiso in Terra e la successiva cacciata dall’Eden rappresentano di fatto il primo grande mito di separazione.
Tutte le tradizioni dell’umanità, in forma velata o esplicita, pongono alla base dell’attuale condizione umana di sofferenza e degradazione un dramma cosmico: il dramma dell’oscuramento intellettuale dell’Uomo Spirituale, l’Adam Qadmon della Cabalà ebraica, l’Uomo Universale dell’esoterismo islamico, che è, all’origine, il libero signore del creato: ciò che viene descritto dalla tradizione exoterica Cristiana come “il peccato originale”, la disobbedienza.
La separazione infatti nasce da un atto di disobbedienza: Adamo mangia il frutto dell’Albero della conoscenza del Bene e del Male, disobbedendo a Dio che gliel’aveva proibito, giacché la conoscenza del Bene e del Male lo avrebbe di fatto reso uguale a Egli.
Ma quest’atto di disobbedienza può anche essere visto come un atto estremo di coraggio nella ricerca della Verità, forse il primo di una lunga serie di atti che hanno caratterizzato il percorso dell’Uomo, cacciato dal Paradiso e costretto quindi a vivere sulla Terra: un percorso che come vedremo non ha altro fine che la ricerca costante della Verità ed il ritorno all’Uno indiviso.
Rimane infatti nell’uomo una scintilla divina luminosa che lo rende capace di ricevere il Logos, di intendere, meglio, di intuire il messaggio che consente all’uomo di riprendere coscienza della sua natura profonda luminosa e di restaurare il suo stato originale di Uomo Spirituale libero e indiviso.
Ed arriviamo quindi al secondo mito di separazione, fondamentale per il percorso dell’Umanità, rappresentato dalla Torre di Babele: prima di Babele, ci narra il mito, tutti gli uomini sulla Terra parlavano una sola lingua e usavano le stesse parole.
Il mito racconta che gli uomini, emigrando dall’oriente, capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono; decisero quindi di costruire una città e una Torre, la cui cima arrivasse a toccare il Cielo, e così farsi un nome e non disperdersi su tutta la Terra.
Ma ecco che, ancora una volta, Dio intervenne e confuse la loro lingua, facendo sì che gli uomini non si comprendessero più gli uni con gli altri: Dio li volle sparsi su tutta la Terra.
Si ritrova anche in questo mito il tema della divisione, come se Egli, dopo aver intrappolato l’Umanità sulla Terra, le impedisse di compiere l’atto di ricongiungimento (in latino re-ligio) con il Dio Altissimo: la costruzione della Torre altro non rappresenta se non il tentativo dell’Uomo di “aspirare al Cielo” già durante la vita terrena o, detto in altri termini, di paragonarsi a Dio stesso.
Vale la pena ricordare, a questo punto, che la Torre di Babele in sumerico viene detta Etemenanki, il cui significato originale è “casa delle fondamenta del Cielo e della Terra” o anche “pietra d’angolo del Cielo e della Terra”.
In una lettura più coerente con il pensiero della L.˙. M.˙. quindi, potremmo dire che il Dio descritto dalla Bibbia punisce gli Uomini, disperdendoli ai quattro angoli della Terra, per aver cercato di posare la pietra d’angolo della Torre, o del Tempio, destinato a ricongiungere la Terra con il Cielo.
La caduta dell’Eden e la diaspora dopo Babele sono quindi due fondamentali miti di separazione raccontati dai testi sacri, che condividono un significato allegorico di punizione per un atto di disobbedienza: l’Uomo che vuole essere come Dio, o forse vorrei dire, l’Uomo che vuole ricongiungersi a Dio, l’uomo che vuole ritrovare il Divino dentro di sé.
Entrambi in realtà, rimanendo naturalmente all’interno del mito e senza nessuna considerazione Teosofico-Religiosa, sono forieri di effetti straordinari: dalla caduta di Adamo ed Eva sulla Terra nasce l’Umanità, mentre dalla diaspora di Babele nascono le lingue, le culture, le etnie, le Nazioni. Un percorso di separazione quindi non solo necessario, ma che ha dato origine ad una delle più grandi ricchezze dell’Umanità: la diversità, la molteplicità.
Così come sempre accade, mentre da una parte inizia un percorso di divisione, di differenziazione, di individualizzazione, dall’altra parte ne inizia uno ben più complesso e più lungo di riunificazione, di ritorno dai molti all’Uno.
La Società Profana nel tempo ha provato spesso a creare artificiosamente dei linguaggi universali, capaci cioè di essere compresi da tutti al di là delle barriere linguistiche. Ad esempio possiamo citare il denaro: il denaro ha un suo linguaggio universale, un insieme di regole ben precise e condivise a livello globale che consentono di far parlare tra di loro tutte le monete del mondo, in tutti i Paesi del mondo 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno.
Analogamente, dopo il fallimento dell’Esperanto, la Società Profana ha eletto la lingua Inglese come la lingua standard de facto a livello mondiale: nonostante non sia la lingua più diffusa al mondo, solo terza dopo il Cinese Mandarino e lo Spagnolo, è sicuramente la più funzionale allo scopo. Prima di tutto perché è la lingua di riferimento del modello economico globale egemone, di radice americana e anglosassone, e poi perché è una lingua semplice, o per essere più precisi, è una lingua che è difficile parlare bene ma facilmente si riesce a parlare in modo semplice.
E quindi è perfettamente adatta allo scopo.
In estrema sintesi la Società Profana ha scelto come linguaggi universali quelli che hanno la struttura di un protocollo: sistemi di regole condivise, comunemente adottati da tutti, che consentono alle persone, ma ancor meglio alle macchine, di comunicare tra di loro.
Ecco il punto: i linguaggi universali della Società Profana sono strumentali. Non sono nati con l’intento di aiutare gli Uomini a capirsi meglio, a comunicare pensieri, sentimenti, emozioni. Non mirano al dialogo, alla reciproca comprensione, all’empatia, e quindi ad unire gli uomini e farli diventare tutti più uguali, più liberi e in ultima analisi più Fratelli.
Al contrario essi sono stati progettati a tavolino con il solo fine di scambiare informazioni, fondamentali al Mondo Profano per funzionare secondo i modelli, le regole e soprattutto i limiti imposti dai modelli economici dominanti che nel tempo si sono succeduti.
Ed è questo il motivo ed il limite per cui i linguaggi universali profani hanno fallito: per non essere riusciti ad andare nel profondo dell’animo umano a cogliere e comunicare l’essenza, che risiede nel linguaggio non della mente ma dello spirito.
Esistono però alcuni linguaggi universali che riescono in questo intento: ad esempio la Musica, come tutti abbiamo potuto sperimentare di persona anche ieri sera. La Musica si esprime con un linguaggio che supera le distinzioni di lingua, cultura, Nazione: si racconta che la musica Jazz abbia preso vita nelle stamberghe di New Orleans perché c’erano persone affollate che parlavano cinque lingue diverse e non riuscivano a capirsi, e l’unico modo di comunicare era il Jazz.
La Musica è capace di arrivare a tutti percorrendo strade che ancora in parte ci sono sconosciute, ma che passano per la nostra essenza profonda, per ciò che noi realmente siamo al di là di ogni sovrastruttura: la Musica è il filo che cuce la mente al cuore.
Anche il linguaggio del corpo è un linguaggio universale, ed in particolare la sua massima espressione rappresentata dalla sessualità. Una sessualità sacra, che identifica nel rito sessuale una fonte di energia, come nei rituali Tantrici che usano questa energia per “fondere” il duale nell’unità, o una riscoperta del potere creativo, rigenerativo e trasformativo dell’atto sessuale come ad esempio nel Culto della Grande Madre, che legava i riti sessuali ai riti di fertilità della Madre Terra.
E non a caso la Società Profana nel tempo ha demonizzato e mercificato l’atto sessuale, affinché gli uomini perdessero il contatto con la parte divina che la sessualità sacra permette di riscoprire.
Ed esiste il linguaggio delle azioni. Un’azione è molto più difficile da fraintendere: mentre un discorso può essere strumentalizzato, addirittura la traduzione di un pensiero da una lingua all’atra può tradire il pensiero originario, un’azione parla per ciò che rappresenta senza necessità di decodifica, palesando nel gesto sia l’intento che il destinatario ed infine il modo.
Come abbiamo già detto, quando la parola diventa atto, tutto si fa chiaro, tutto si fa Luce.
Vorrei aprire una parentesi, in questo percorso, rivolgendo un pensiero a tutte quelle azioni che con la loro chiarezza di intenti illuminano come Pura Luce le nostre vite, che hanno il potere di spazzare le ombre del dubbio e mostrare al mondo ciò che spesso rimane invisibile.
Vorrei che il nostro pensiero vada a tutti i Fratelli che, a costo dell’estremo sacrificio, spinti dal senso del dovere e sostenuti dal coraggio che, raro tra gli uomini, non lo è, non dovrebbe esserlo tra i L.˙. M.˙., danno la propria vita per salvare degli Innocenti; vorrei che il nostro pensiero, per un minuto, **se a ciò l’Oriente acconsentisse**, oggi vada al Fratello Arnaud Beltrame della R.˙.L.˙. Jerome Bonaparte all’Oriente di Rueil-Nanterre.
E, fondamentale per noi L.˙. M.˙., esiste il linguaggio dei simboli: un linguaggio che conosciamo bene, giacché tutto nella nostra Fratellanza è simbolico, tutto è fatto di simboli: noi usiamo simboli e gesti rituali per riconoscerci “dai segni che diamo”, e ancor di più per comunicare tra di noi.
I simboli hanno origine da qualcosa che è stato diviso per essere riunito. A volte però un simbolo si manifesta, apparentemente, nella sua interezza e allora perché diciamo che è un simbolo?
Perché la chiave di decodifica, cioè l’altra parte del codice, quella da conoscere, è nella Sapienza del L.˙. M.˙. che viene iniziato e quindi istruito per riconoscere il simbolo. Una parte del simbolo è quella che si ha, cioè che si vede; l’altra parte è una cosa che si sa, cioè che si conosce o meglio si ri-conosce.
Lo stesso rituale, nei tre Gradi della Massoneria Azzurra, è un simbolo agito: noi lo stiamo sperimentando oggi stesso perché il nostro rituale è fatto di gesti, di suoni, di ritmo ancor più che di parole. Noi che oggi siamo riuniti in questo luogo, di per sé simbolico, stiamo già andando oltre Babele perché il rituale che pratichiamo è un simbolo agito e trascende le lingue che lo esprimono.
Ma qual è allora il cammino che il L.˙. M.˙. deve percorrere nella sua esperienza iniziatica per andare oltre Babele? Qual è la strada che porterà gli uomini a riconoscersi come Fratelli, tutti appartenenti ad una stessa Famiglia, ad una stessa Umanità, ad uno stesso Noi che possa infine superare l’individualizzazione e andare oltre l’Io?
Abbiamo visto che i linguaggi universali della Società Profana non possono raggiungere questo scopo: essi sono stati progettati secondo logiche razionali, ma la conoscenza razionale è divisiva, perché funziona per analisi, e pertanto ogni tentativo di ricercare l’unità con la sola forza della ragione è destinato a fallire.
Al contrario la conoscenza intuitiva è unificante, perché ragiona per sintesi: quindi il percorso esoterico che superi l’Io, la separazione, la Babele degli Uomini deve necessariamente passare per il Noi, il riconoscimento di appartenenza ad una stessa Umanità, un’unica Famiglia di Fratelli, per arrivare infine a ritrovare in noi stessi l’Uno indiviso.
Deporre, oliarsi, togliere: come l’iniziato impara a togliere dalla pietra grezza per trasformarla in pietra levigata e poi in pietra cubica, come lo scultore toglie dalla pietra per far uscire la statua che vi è nascosta dentro, così noi L.˙. M.˙. dobbiamo essere scultori di noi stessi. Imparando a togliere tutto ciò che è sovrastruttura per accedere a ciò che è essenza, riusciremo a scendere un gradino, da ciò che è linguaggio a ciò che è meta-linguaggio: il simbolo.
Tutti noi L.˙. M.˙. iniziati e istruiti all’Arte Reale abbiamo come compito primario la ricerca della “Parola Perduta”, e di ri-creare nuovamente lo stato Adamico, risorgendo dopo una morte iniziatica come il nostro Maestro-Simbolo Hiram Abiff: così, emulando Hiram, costruttore del Tempio di Gerusalemme, potremo ricostruire nel nostro corpo la sede della Luce e il nostro Tempio interiore.
La parola perduta è la capacità creatrice: nel momento stesso in cui l’umanità si è separata da Dio il vero significato della Parola è andato perduto. E se la Parola Perduta non fosse altro che il Logos Creatore?
Ecco quindi che ritroviamo il messaggio del Vangelo di Giovanni da cui siamo partiti: il Logos si è fatto carne, il potere creatore divino e la sua creatura si ritrovano e si riconoscono come un tutt’Uno. Il ritrovamento della “Parola Perduta” equivale a ritrovare sé stessi e la vera natura Divina nell’uomo, ossia prendere coscienza che Dio e l’uomo sono la medesima essenza.
Il cerchio si chiude: nel nostro percorso esoterico di riunione della nostra essenza umana con la nostra essenza divina il simbolo si riunisce, permettendoci di essere così divinamente umani.
Noi siamo briciole. Un tempo eravamo parte del Tutto e poi ne siamo stati separati. Ma ogni L.˙. M.˙. sa di essere anche un simbolo egli stesso, giacché il suo destino è di essere riunito al Tutto da cui proviene e che chiamiamo il G.˙. A.˙. D.˙. U.˙.
Ed è in questo ritorno al Tutto, quindi nella ricerca della Parola Perduta, che si compie il destino del L.˙. M.˙.: noi potremo andare oltre Babele, superare le differenze di lingua, cultura, etnia, andare oltre la separazione originaria e riscoprire il potere di comprenderci al di là delle lingue quando “ci riuniremo insieme”, riuniremo ciò che è sparso, riconosceremo compiutamente la nostra essenza divina e ritroveremo, finalmente, la Parola Perduta.
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